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Etichettatura OGM

Ogm, ovvero organismi geneticamente modificati.

Oggi voglio affrontare questo argomento con Voi perché credo ci sia ancora molta confusione al riguardo.

Di cosa si tratta? Come possiamo “scovarli” in etichetta?

Innanzitutto va detto che si tratta di organismi viventi che possiedono un patrimonio genetico modificato tramite tecnologia del DNA ricombinante, che consentono l’aggiunta, l’eliminazione o la modifica di elementi genici.

Definizione abbastanza complessa che potremmo riassumere in “organismi non umani modificati attraverso l’ingegneria genetica”.

Secondo la Direttiva 2001/18/CE, sono considerate tecniche che hanno come risultato un organismo geneticamente modificato:

  • tecniche di ricombinazione del materiale genetico che comportano la formazione di nuove combinazioni mediante l’utilizzo di un vettore di molecole di DNA, RNA o loro derivati, nonché il loro inserimento in un organismo ospite nel quale non compaiono per natura, ma nel quale possono replicarsi in maniera continua;
  • tecniche che comportano l’introduzione diretta in un organismo di materiale ereditabile preparato al suo esterno, tra cui la macroiniezione e il microincapsulamento;
  • fusione cellulare (inclusa la fusione di protoplasti) o tecniche di ibridazione per la costruzione di cellule vive, che presentano nuove combinazioni di materiale genetico ereditabile, mediante la fusione di due o più cellule, utilizzando metodi non naturali.

La normativa sugli OGM ha sempre sollevato opinioni discordanti ed un grande polverone mediatico; dibattiti su dibattiti che hanno coinvolto sia l’Unione Europea che gli Stati Membri.

E’ pericolosa oppure no? Le opinioni sono discordanti e la scienza non ha un posizione chiara e decisa.

Questa indecisione si è riversata ovviamente anche nella normativa.

Il Legislatore comunitario ha lasciato, infatti, ampio margine di azione agli Stati Membri, liberi quindi di consentire o meno le coltivazioni OGM.

L’Italia ha vietato la coltivazione OGM. Dal 2015 tali tecniche sono bandite.

Così detto parrebbe anche consequenziale pensare di essere al “riparo” da tali organismi sugli scaffali dei supermercati.

Ma le cose non stanno così perché, se da un lato da noi è vietato coltivare OGM, dall’altro ne è consentita l’importazione.

Le principali colture OGM sono mais, cotone, soia, colza e barbabietola da zucchero.

Ecco prendiamo in considerazione la soia, povera, demonizzata e bistrattata soia, argomento cult di chi vuole “smontare” l’alimentazione vegetale.

In Italia è vietato coltivare soia OGM come detto poco fa. 

Quindi ci illudiamo di non mangiarla per niente?

Le cose non stanno così perché è consentita l’importazione e la sua utilizzazione. D’altra parte la soia non OGM prodotta in Italia non sarebbe mai sufficiente a soddisfare l’intera domanda.

E non si parla dei vegani che mangiano qualche panetto di tofu: la maggiore parte della soia, infatti, a livello mondiale, viene coltivata per dare da mangiare agli animali da allevamento.

Quindi la maggior parte della soia viene importata dall’estero, è OGM ed è utilizzata quale mangime per gli animali: anche le persone onnivore mangiano soia e per di più ogm senza neppure porsi il problema.

Come possiamo difenderci?

Noi consumatori, come dico sempre, abbiamo un’amica ed è l’etichetta sugli alimenti.

I prodotti costituiti o contenenti o derivati da OGM, sia alimenti che mangimi, sono soggetti ai requisiti di etichettatura e tracciabilità stabiliti con i Regolamenti comunitari n. 1829/2003 e n. 1830/2003.

Il Regolamento (CE) n. 1829/2003 definisce requisiti specifici in materia di etichettatura e fissa le soglie di tolleranza della presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di OGM, per cui anche gli alimenti derivati da OGM, destinati al consumatore finale o ai fornitori di alimenti per la collettività, devono riportare in etichetta la dicitura relativa alla presenza di OGM.


Badate bene che tale obbligo non si applica agli alimenti che contengono OGM autorizzati, oppure sono costituiti o prodotti a partire da OGM autorizzati in proporzione non superiore allo 0.9% degli ingredienti alimentari, purché tale presenza sia accidentale o tecnicamente inevitabile (art. 12, comma 2 del Regolamento).


La definizione della soglia di tolleranza sopra indicata nasce dall’impossibilità nell’Unione europea, come nei Paesi terzi, di impedire la presenza accidentale o tecnicamente inevitabile di OGM nei prodotti convenzionali durante le fasi di coltivazione, manipolazione, stoccaggio, trasporto.

Con il Regolamento (CE) n. 1830/2003 gli alimenti OGM devono rispettare anche le prescrizioni stabilite in materia di tracciabilità che è definita, in modo specifico per questo settore, “come la capacità di rintracciare OGM e prodotti ottenuti da OGM in tutte le fasi dell’immissione in commercio attraverso la catena di produzione e di distribuzione”.


Per garantire la tracciabilità gli operatori che trattano prodotti contenenti, costituiti o ottenuti da OGM hanno l’obbligo di fornire al successivo operatore della filiera, in tutte le fasi di produzione e distribuzione, una specifica informazione in merito.

In conclusione, tutti i prodotti alimentari costituiti o contenenti OGM (non autorizzati) o derivati da essi, con una presenza superiore allo 0.9%, destinati al consumatore finale devono riportare in etichetta la dicitura “contiene organismi geneticamente modificati” o “contiene (nome dell’organismo) geneticamente modificato”.

Spero che questo approfondimento vi sia stato utile. A presto!