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Sostenibilità ambientale ed alimentazione

Il termine sostenibilità ambientale è stato introdotto nel corso della prima Conferenza delle Nazioni Unite nel 1972.

La Conferenza ebbe luogo a Stoccolma e nacque dalla sempre maggior cooperazione tra gli stati per la necessità di proteggere l’ambiente in cui l’essere umano vive.

Fu nel rapporto Brundtland che il termine sostenibilità ambientale trovò una codificazione ufficiale.

Si tratta di (conosciuto anche come Our Common Future) un documento pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED) in cui, per la prima volta, venne introdotto il concetto di sviluppo sostenibile. 

La sua definizione era la seguente:

«lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri»

Sostenibilità ambientale è e deve essere anche tutto quell’insieme di azioni che possono essere compiute da istituzioni, aziende, singoli cittadini e persone che responsabilmente si dovrebbero adoperare e comportare, consapevoli che le risorse del nostro pianeta non sono infinite.

Tra tutti i comportamenti attuabili anche quelli relativi all’alimentazione giocano un ruolo decisivo in termini di impatto ambientale.

L’American Public Health Association (APHA) definisce un “sistema alimentare sostenibile” come “un sistema che fornisce cibo sano per andare incontro alle esigenze alimentari attuali sostenendo ecosistemi sani che possano anche fornire cibo alle generazioni future con un impatto negativo minimo sull’ambiente. Un sistema alimentare sostenibile incoraggia anche la produzione locale e le infrastrutture di distribuzione e fa sì che vi sia cibo a sufficienza disponibile e accessibile a tutti. Inoltre, è umano e giusto proteggere gli agricoltori e gli altri lavoratori, i consumatori e le comunità“.

Non volendo ora approfondire gli aspetti vantaggiosi che una dieta vegetale apporta alla salute fisica e dell’importante aspetto etico sulla ingiusta sofferenza inflitta agli animali “da reddito”, ci si chiede come la zootecnica incida sull’impatto ambientale.

E’ ormai cosa certa che l’allevamento intensivo (dal quale proviene la quasi totalità dei prodotti di origine animale che l’uomo oggigiorno consuma) è tra le attività che maggiormente hanno concorso e concorrono all’aumento della temperatura terrestre e non solo.

Un recente studio ha evidenziato come gli allevamenti intensivi siano responsabili dell’emissione in atmosfera di ben il 51% dei gas terra (GHG) soprattutto di anidride carbonica, metano e protossido d’azoto.

Inoltre per far posto ai pascoli necessari all’allevamento ampie zone del nostro pianeta sono state deforestate e i terreni sfruttati dall’eccessivo pascolo sono diventati praticamente sterili e inutilizzabili e quindi non riconvertibili.

Non solo.

L’allevamento richiede l’utilizzo di risorse idriche: per nutrire un manzo per esempio può essere necessario consumare fino ad 80 litri di acqua al giorno.

Altra acqua viene usata per la pulizia delle strutture di allevamento e degli animali, per il sistema di raffreddamento e per lo smaltimento dei rifiuti.

L’impronta idrica della produzione globale dei prodotti di origine animale è stata calcolata, nel periodo 1996 – 2005, in 2422 miliardi di metri cubi l’anno.

La FAO ci dice: “l’evidenza suggerisce che il settore dell’allevamento è la più importante fonte di inquinamento delle acque, principalmente deiezioni animali, antibiotici, ormoni, sostanze chimiche delle concerie, fertilizzanti e fitofarmaci usati per le colture foraggere e sedimenti dai pascoli erosi”.

Questi sopra sono solo alcuni degli effetti che gli allevamenti intensivi (ed estensivi) hanno sull’ambiente.

La riduzione del consumo di carne e dei suoi derivati è ormai considerata una necessità dalla comunità scientifica per contrastare i gravi effetti avversi della produzione zootecnica.

Ma se ormai da più voci si sente sempre di più l’esigenza di limitare (non solo per la salute) la produzione di derivati animali cosa sta facendo il legislatore (comunitario e non) per rispondere a tale esigenza?

Parrebbe nulla considerato che recentemente la plenaria di Bruxelles ha approvato la nuova Politica Agricola Comune confermando i sussidi agli allevamenti intensivi. 

Ad esprimersi favorevolmente anche la quasi totalità della delegazione italiana.

Quindi nonostante gli impegni dell’Ue di modificare la PAC, al momento della sua approvazione, è stato introdotto e votato favorevolmente un maxi – emendamento che a conti fatti non apporta nessuna modifica significativa alla situazione attuale degli allevamenti intensivi che continueranno a ricevere sovvenzioni.

Sovvenzioni che avrebbero potuto incentivare ad esempio la riconversione dell’attività di allevamenti intensivi in coltivazioni di foraggi a beneficio di salute e tutela ambientale.

Nonostante la mole di informazioni ormai a disposizione il legislatore ha ancora una volta lasciato svanire una importante opportunità di invertire la tendenza e indirizzare il cammino normativo verso la tutela dell’ambiente e della  nostra salute.